La città dei tavoli e delle sedie

cresce il dibattito sulla rete, in particolare sui social, da una parte i cittadini protestano per il disordine che regna in città, dall'altra parte i ristoratori minimizzano dicendo che si tratta di casi isolati e che sono solo due mesi l'anno. Nella bagarre anche il Sindaco Massimo Mallegni, che incontrerà i comitati cittadini per sentire le Loro ragioni, ma dice anche che il motore Pietrasanta è in moto,  l'economia cresce e pertanto dobbiamo tenere conto anche di questo. 
sull'argomento vi proponiamo alcune considerazioni di Michele Verona

C’è una città le cui strade e piazze ogni sera si riempiono di tavoli e di sedie; stradine strette, vicoletti angusti, piazzette grandi poco più di un fazzoletto… poco importa: tutto lo spazio disponibile viene ricoperto di tavoli e di sedie, una distesa senza inizio né fine che ricorda più certe creazioni frutto dell’implacabilità istintuale propria del regno animale che non l’opera dell’uomo, come l’alveare nato dalla tenacia laboriosa dell’ape o gli intricati cunicoli scavati dalla formica, automa senza identità pronta a divorare le sorelle morte sul campo pur di raggiungere lo scopo.
Non appena il sole tramonta questa città si popola solo di persone sedute, come se un Dio severo e vendicatore avesse lanciato su di essa uno strano castigo fatto di immobilità impotente; quasi nessuno osa muoversi facendosi largo tra spigoli di tavoli e schienali; i pochi che vedi passare lo fanno per procedere rapidamente verso un altro tavolo, verso un’altra sedia garanzia di protezione ed esistenza, sfidando l’ira del cielo e la questua insistente di tutti gli altri accoliti, che recitando litanie insistenti e senza senso distendono mani pronte a brandire, allungando il collo come tartarughe stanche: ‘’Vengo da Milano, una specialità per favore…’’ ‘’Sono qua da sei ore, qualcosa da mettere in bocca che valga la pena essere raccontato…’’ ‘’Un piatto originale, la prego, ho il portafogli gonfio e la pancia vuota…’’
I pochi che ancora vi abitano, non appena le campane del campanile della piazza annunciano il tramonto, si ritirano di corsa nelle proprie case, timorosi di essere colpiti da quella strana maledizione. Oramai assuefatti e rassegnati, osservano da dietro le finestre dei piani superiori quello spettacolo misterioso e sconcertante, aspettando l’ora del sonno e infine la luce del mattino, che scioglierà ancora una volta quell’infinito maleficio.
Si racconta che una notte, tanto tempo fa, gli abitanti della città, esasperati e arrabbiati, si ribellarono a quella situazione: scesero in strada in preda ad un furore cieco e in un’orda vociante ribaltarono i tavoli e rovesciarono tutte le sedie incontrate lungo l’imprevedibile cammino, facendo finire per terra tutti quei poveri dannati della tavola che, sorpresi e impauriti, rimanevano immobili, seduti o distesi sulla schiena come impotenti scarafaggi, con gli occhi e le bocche spalancate.
Poi la folla inferocita trascinò tutti i tavoli e le sedie nella piazza del Duomo, colmandola tutta, formando un groviglio inestricabile di gambi, schienali, tavole e tovaglie che si ergeva verso il cielo superando in altezza il campanile. Come in un sabba infernale fu appiccato il fuoco; si racconta che il cumulo bruciò per tre giorni e per tre notti, emanando un bagliore visibile ad occhio nudo da Firenze e da anche più in là, facendo innalzare una colonna di fumo che oscurò il sole in tutta la regione.
La sera del quarto giorno per terra erano rimaste solo delle ceneri fumanti, ma all’improvviso il soffio del vento le disperse, l’aria tornò limpida e, quando le campane annunciarono il tramonto, da dentro i fondi a pian terreno uscirono uomini in grembiule dallo sguardo impenetrabile, che come tanti robot riempirono di nuovo la città di tavoli e di sedie, come se niente fosse mai successo…C’è una città le cui strade e piazze ogni sera si riempiono di tavoli e di sedie; stradine strette, vicoletti angusti, piazzette grandi poco più di un fazzoletto… poco importa: tutto lo spazio disponibile viene ricoperto di tavoli e di sedie, una distesa senza inizio né fine che ricorda più certe creazioni frutto dell’implacabilità istintuale propria del regno animale che non l’opera dell’uomo, come l’alveare nato dalla tenacia laboriosa dell’ape o gli intricati cunicoli scavati dalla formica, automa senza identità pronta a divorare le sorelle morte sul campo pur di raggiungere lo scopo.
Non appena il sole tramonta questa città si popola solo di persone sedute, come se un Dio severo e vendicatore avesse lanciato su di essa uno strano castigo fatto di immobilità impotente; quasi nessuno osa muoversi facendosi largo tra spigoli di tavoli e schienali; i pochi che vedi passare lo fanno per procedere rapidamente verso un altro tavolo, verso un’altra sedia garanzia di protezione ed esistenza, sfidando l’ira del cielo e la questua insistente di tutti gli altri accoliti, che recitando litanie insistenti e senza senso distendono mani pronte a brandire, allungando il collo come tartarughe stanche: ‘’Vengo da Milano, una specialità per favore…’’ ‘’Sono qua da sei ore, qualcosa da mettere in bocca che valga la pena essere raccontato…’’ ‘’Un piatto originale, la prego, ho il portafogli gonfio e la pancia vuota…’’
I pochi che ancora vi abitano, non appena le campane del campanile della piazza annunciano il tramonto, si ritirano di corsa nelle proprie case, timorosi di essere colpiti da quella strana maledizione. Oramai assuefatti e rassegnati, osservano da dietro le finestre dei piani superiori quello spettacolo misterioso e sconcertante, aspettando l’ora del sonno e infine la luce del mattino, che scioglierà ancora una volta quell’infinito maleficio.
Si racconta che una notte, tanto tempo fa, gli abitanti della città, esasperati e arrabbiati, si ribellarono a quella situazione: scesero in strada in preda ad un furore cieco e in un’orda vociante ribaltarono i tavoli e rovesciarono tutte le sedie incontrate lungo l’imprevedibile cammino, facendo finire per terra tutti quei poveri dannati della tavola che, sorpresi e impauriti, rimanevano immobili, seduti o distesi sulla schiena come impotenti scarafaggi, con gli occhi e le bocche spalancate.
Poi la folla inferocita trascinò tutti i tavoli e le sedie nella piazza del Duomo, colmandola tutta, formando un groviglio inestricabile di gambi, schienali, tavole e tovaglie che si ergeva verso il cielo superando in altezza il campanile. Come in un sabba infernale fu appiccato il fuoco; si racconta che il cumulo bruciò per tre giorni e per tre notti, emanando un bagliore visibile ad occhio nudo da Firenze e da anche più in là, facendo innalzare una colonna di fumo che oscurò il sole in tutta la regione.
La sera del quarto giorno per terra erano rimaste solo delle ceneri fumanti, ma all’improvviso il soffio del vento le disperse, l’aria tornò limpida e, quando le campane annunciarono il tramonto, da dentro i fondi a pian terreno uscirono uomini in grembiule dallo sguardo impenetrabile, che come tanti robot riempirono di nuovo la città di tavoli e di sedie, come se niente fosse mai successo…C’è una città le cui strade e piazze ogni sera si riempiono di tavoli e di sedie; stradine strette, vicoletti angusti, piazzette grandi poco più di un fazzoletto… poco importa: tutto lo spazio disponibile viene ricoperto di tavoli e di sedie, una distesa senza inizio né fine che ricorda più certe creazioni frutto dell’implacabilità istintuale propria del regno animale che non l’opera dell’uomo, come l’alveare nato dalla tenacia laboriosa dell’ape o gli intricati cunicoli scavati dalla formica, automa senza identità pronta a divorare le sorelle morte sul campo pur di raggiungere lo scopo.
Non appena il sole tramonta questa città si popola solo di persone sedute, come se un Dio severo e vendicatore avesse lanciato su di essa uno strano castigo fatto di immobilità impotente; quasi nessuno osa muoversi facendosi largo tra spigoli di tavoli e schienali; i pochi che vedi passare lo fanno per procedere rapidamente verso un altro tavolo, verso un’altra sedia garanzia di protezione ed esistenza, sfidando l’ira del cielo e la questua insistente di tutti gli altri accoliti, che recitando litanie insistenti e senza senso distendono mani pronte a brandire, allungando il collo come tartarughe stanche: ‘’Vengo da Milano, una specialità per favore…’’ ‘’Sono qua da sei ore, qualcosa da mettere in bocca che valga la pena essere raccontato…’’ ‘’Un piatto originale, la prego, ho il portafogli gonfio e la pancia vuota…’’
I pochi che ancora vi abitano, non appena le campane del campanile della piazza annunciano il tramonto, si ritirano di corsa nelle proprie case, timorosi di essere colpiti da quella strana maledizione. Oramai assuefatti e rassegnati, osservano da dietro le finestre dei piani superiori quello spettacolo misterioso e sconcertante, aspettando l’ora del sonno e infine la luce del mattino, che scioglierà ancora una volta quell’infinito maleficio.
Si racconta che una notte, tanto tempo fa, gli abitanti della città, esasperati e arrabbiati, si ribellarono a quella situazione: scesero in strada in preda ad un furore cieco e in un’orda vociante ribaltarono i tavoli e rovesciarono tutte le sedie incontrate lungo l’imprevedibile cammino, facendo finire per terra tutti quei poveri dannati della tavola che, sorpresi e impauriti, rimanevano immobili, seduti o distesi sulla schiena come impotenti scarafaggi, con gli occhi e le bocche spalancate.
Poi la folla inferocita trascinò tutti i tavoli e le sedie nella piazza del Duomo, colmandola tutta, formando un groviglio inestricabile di gambi, schienali, tavole e tovaglie che si ergeva verso il cielo superando in altezza il campanile. Come in un sabba infernale fu appiccato il fuoco; si racconta che il cumulo bruciò per tre giorni e per tre notti, emanando un bagliore visibile ad occhio nudo da Firenze e da anche più in là, facendo innalzare una colonna di fumo che oscurò il sole in tutta la regione.
La sera del quarto giorno per terra erano rimaste solo delle ceneri fumanti, ma all’improvviso il soffio del vento le disperse, l’aria tornò limpida e, quando le campane annunciarono il tramonto, da dentro i fondi a pian terreno uscirono uomini in grembiule dallo sguardo impenetrabile, che come tanti robot riempirono di nuovo la città di tavoli e di sedie, come se niente fosse mai successo…

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