Conoscere per cambiare: il PCA di Pietrasanta come realtà portavoce del progresso nella gestione della tossicodipendenza

Conoscere per cambiare: il PCA di Pietrasanta come realtà portavoce del progresso nella gestione della tossicodipendenza

 

Che cos’è la tossicodipendenza? E’ una malattia del cervello legata all’abuso di determinate sostanze. È cronica, e spesso recidivante. Al pari di altre malattie croniche, come il diabete o l’ipertensione, necessita di un monitoraggio continuo e di trattamenti calibrati sul lungo termine. A differenza di queste, però, il meccanismo che va pian piano inceppandosi è quello, neurobiologico, del controllo degli impulsi e della volontà. In sostanza, essere tossicodipendenti non è una scelta. E smettere di farsi dall’oggi al domani non è un traguardo verosimilmente raggiungibile.

Mi presento: sono un giovane medico con l’aspirazione di diventare un giorno psichiatra e di poter dare il mio contributo alla gestione dei pazienti tossicodipendenti. Durante l’ultimo anno ho avuto il piacere (e la fortuna) di poter conoscere più a fondo molte di queste persone e di entrare in contatto diretto con la loro realtà. Appare evidente come i demoni contro cui un tossicodipendente deve confrontarsi e combattere quotidianamente siano molti. Il disagio personale è il primo, ed è quello che in gergo si definisce craving: è la fame incoercibile della sostanza d’abuso, che non si placa senza la sostanza stessa. Il disagio sociale è il secondo, ed è determinato dallo stigma contro cui un tossicodipendente deve inderogabilmente fare i conti quando si muove nella società: essere tossicodipendente significa, senza mezzi termini, essere emarginato, essere esiliato.

Nello stesso periodo ho avuto inoltre modo di trascorrere del tempo in alcune delle strutture preposte alla gestione delle problematiche legate alla tossicodipendenza. Si tratta per lo più comunità terapeutiche dislocate nell’area Nord-Ovest della Toscana. Tra queste, a mio avviso, una su tutte merita una perticolare menzione: il PCA di Pietrasanta.

Una canonica comunità terapeutica spesso trova posto lontano dalle città e quindi dal tessuto sociale. Segrega il tossico, assecondando l’idea e l’interesse di una società che lo etichetta come diverso e sbagliato. Il PCA invece si frappone silenziosamente tra il tessuto sociale del paese e i tossicodipendenti, utenti della struttura, i quali di quel tessuto sociale sono non soltanto parte integrante, ma anche un “prodotto” diretto. E lo fa proprio nel background delle due categorie, nel cuore del paese, cioè nel suo centro storico. Di Pietrasanta il PCA è una struttura pulsante, e con Pietrasanta dialoga giorno dopo giorno dall’interno.

Silenziosa ma pragmatica è anche la gestione clinica e psicoterapeutica degli stessi utenti, che, differentemente da quanto avvenga in comunità, non sono vincolati a soggiornare all’interno della struttura per periodi di tempo non sempre ben determinati, sottoposti 24 ore su 24 alle regole e ai dogmi terapeutici della struttura ospitante. L’utente del PCA vive davvero Pietrasanta, ed è libero di provare a riacquistare autonomamente la propria dignità, proprio là dove questa si è persa.

Se si accetta la definizione della tossicodipendenza come malattia, concezione che scaturisce da ricerche scientifiche sempre più numerose, appare evidente che l’unica strada percorribile da chi si voglia occupare di questa realtà è quella che si muove verso un sostegno concreto della persona, sia dal punto di vista psicologico e terapeutico, sia da un punto di vista sociale. Occuparsi di dipendenze vuol dire voler aiutare il tossicodipendente. Aiutare il tossicodipendente vuol dire comprenderlo, curarlo e promuoverne il reinserimento sociale.

Il PCA di Pietrasanta, per molteplici motivi, rappresenta quindi un esempio unico e all’avanguardia nella gestione della tossicodipendenza, perché si lascia scegliere, senza imporsi. Adotta un modus operandi interattivo e pragmatico. Non dar voce all’avanguardia e non imitare l’esempio del PCA significa rischiare che si verifichino sempre più spesso, nei prossimi anni, i disagi sociali e i crimini di cui già di frequente si legge nelle cronache dei quotidiani locali.

 

Ciononostante, non mancano gli aspetti spiacevoli che contornano la realtà del PCA. Pietrasanta rappresenta la summa culturale dell’intera Versilia, e, insieme a questa, appare sempre più orientata a conformarsi a richieste turistiche di raffinatezza e di servizi standardizzati. Si tratta di un processo di modernizzazione in cui la presenza di una comunità aperta per tossicodipendenti, al centro del tessuto urbano e turistico, viene percepita come una “macchia”, una sporcizia, e, in definitiva, una vergogna. Che sia un caso, quindi, che le problematiche legate al rinnovo dei contratti degli operatori sanitari e i crescenti tagli alla spesa sanitaria stiano mettendo seriamente in discussione la permanenza a Pietrasanta del PCA?

Viene spontaneo, allora, domandarsi se sia più urgente compiere una (dis)evoluzione estetica o piuttosto assicurare cure e sostegno costanti a quella parte della propria società, come i tossicodipendenti, che di certi servizi hanno veramente bisogno.

Filippo Della Rocca (tirocinante c/o PCA)

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