Quando i nostri critici non sanno più quello che dire contro di noi, se ne escono con l’accusa che noi punteremmo tutto sul metadone e dunque sull’aspetto medico-farmacologico di un problema che, invece, è assai più complesso. Scorrendo i documenti e i materiali con i quali, nel tempo, abbiamo rappresentato la nostra posizione di fondo non c’è proprio niente che suffraghi tali accuse. Sempre e fortemente noi abbiamo sostenuto la necessità dei programmi metadonici integrati nei quali, la parte medico-farmacologica deve necessariamente stare alla base di interventi ben più complessi di sostegno sociale, di natura rieducazionale e psicologici. E questo fin dagli inizi. Se è vero, com’è vero, che siamo i portatori ed i sostenitori del lavoro iniziato da Dole e Nyswander, non può che essere così. E a questo proposito riproponiamo un loro saggio che risale al 1967 e dal quale ben si comprende che nemmeno i due pionieri, il cui lavoro emerge sempre più attuale anche alla luce delle esperienze più attuali, hanno mai pensato ad un intervento basato esclusivamente sul farmaco. Essi commentano uno dei primi studi pilota durante il quale, la fase di induzione del metadone veniva fatta in regime di ricovero. Fin da quell’epoca, e quindi da sempre, la loro impostazione è senza dubbio alcuno quella dell’intervento complessivo. E così è sempre stata anche la nostra. Scorriamo insieme questo rapporto e valutiamone l’enorme validità, l’umano trasporto, la consapevolezza professionale e l’inossidabile attualità
LA RIABILITAZIONE DEI TOSSICOMANI DI STRADA di Vincent P. Dole e Marie E. Nyswander
“Archives of Environmental Health, 14 (1967): 477-480
Il tossicomane di strada è una specie unica di individuo problematico, una persona che si identifica con gli slums delle grandi città, ben separato dal contesto normale, spesso un duro e ricorrente animale da galera. Sostiene una costosissima abitudine senza un reddito legale e, per questo, è pesantemente coinvolto nel crimine. La vita di un eroinomane non è certo piacevole, anche se, in certi momenti, l’eroina gli procura attimi di euforia. Ma egli ha bisogno di dosi maggiori e di iniezioni più frequenti per fronteggiare i sintomi dell’astinenza, mentre gli stati euforici sono sempre più difficili da ottenere. L’eroina è assolutamente incapace di soddisfare chi la usa a lungo termine. Gli eroinomani, come gli etilisti e i fumatori incalliti, provano di tanto in tanto a sfuggire alla schiavitù della loro abitudine. E in questa loro insoddisfazione di fondo risiede la motivazione e la speranza di qualsiasi programmo riabilitativo. La trappola sociale nella quale è imprigionato il tossicomane di strada si differenzia sostanzialmente da quella degli assuntori della classe media (che possono rovinare la famiglia ma che mantengono una certa rispettabilità) o da quella dei medici o delle infermiere tossicodipendenti (che fanno uso personale di narcotici per uso medico), o da quella del paziente con una malattia cronica che ottiene narcotici per regolare prescrizione. Tutta questa persone hanno in comune una dipendenza fisica dai narcotici, ma i loro problemi rispetto alla riabilitazione sono enormemente diversi. Qualsiasi programma che non tenga conto del deficit sociale del tossicomane di strada avrà ben poca probabilità di renderlo un cittadino produttivo in una libera società. Per il TD di strada, l’acquisizione dell’abitudine alla droga non è che il primo passo verso la compromissione totale. Parimenti la cessazione di quell’abitudine non sarà che il primo passo del processo riabilitativo. Quando un adolescente diventa tossicomane, cessa la sua maturazione, si bloccano le esperienze normali di scuola, della famiglia, di formazione lavorativa, di assunzione delle responsabilità. Le sue energie sono completamente orientate a procurarsi i soldi per l’eroina. Se non era un delinquente già prima, lo diventa. La sua estraniazione dal contesto sociale si allarga sempre di più via via che si espone al mondo della droga e della prigione. Questo è il sentiero che deve ripercorrere durante la terapia. Supponiamo, ai fini di questa discussione, che fosse possibile guarire istantaneamente e definitivamente l’eroinismo con un farmaco miracoloso. Immaginiamoci che questa utopistica cura fosse in grado di porre termine ad ogni compulsione e di stabilire un perfetto stato di benessere fisico. Certo si tratterebbe di un pur validissimo strumento da aggiungersi alla terapia, ma non avrebbe la capacità di riparare il deficit causato dai molti anni di tossicodipendenza in un periodo critico della crescita di un giovane. Il paziente, sebbene guarito da un punto di vista farmacologico, ancora non avrebbe un lavoro, una assicurazione e un curriculum che lo renda suscettibile di essere impiegato. Per la gente, e forse ancora per la sua famiglia, forse è ancora un tossico. La riabilitazione è un processo lentissimo, e questo, per la verità, è vero per ogni processo di apprendimento, ma per il tossicomane guarito esiste in più la difficoltà di essere stato un fallimento e di aver perduto fiducia in se stesso. Dunque, una cura farmacologica non può essere più che una partenza. Per diventare un membro produttivo e responsabile in una società il TD ha bisogno di qualcuno che comprenda a fondo la natura della sua battaglia.
Ma il metadone non è neanche la medicina miracolosa che abbiamo test è descritto.
E’ vero, ci offre il blocco degli effetti dell’eroina, (2) elimina l’insidiosa appetizione compulsiva nel paziente disintossicato, ma non cancella totalmente e su due piedi l’interesse verso l’eroina. molti pazienti hanno bisogno di un periodo di sperimentazione durante il quale provano a tornare negli ambienti abituali e provano ancora l’eroina. Per alcuni basta un unico test. L’assenza di effetti in un paziente adeguatamente bloccato elimina l’interesse verso questa sostanza. Per alcuni altri la sperimentazione continuerà per un certo tempo anche se il metadone ha bloccato gli effetti dell’eroina. Sembra infatti che il modello di comportamento relativo all’assunzione di eroina sia profondamente radicato in alcuni soggetti e che possa estinguersi solo dopo ripetute esperienze negative. Comunque, con il blocco metadonico, il paziente e protetto contro la possibilità di una riassuefazione all’eroina. Il metadone, infatti, non solo blocca gli effetti dell’eroina ma elimina i sintomi della sindrome protratta che altrimenti si instaurano dopo la cessazione dell’eroina e riconducono il TD al suo uso regolare. Col tempo discutendo del suo problema e attraverso il monitoraggio con analisi obiettive delle urine (3) il paziente può essere accompagnato nella sua transizione anche se assume saltuariamente droga. Nel frattempo, molti cambiamenti importanti avvengono nelle sue relazioni con la società e nelle sue attitudini verso sé stesso. Se, com’è vero per molti tossicomani di strada, egli proviene da un passato povero dove le droghe erano largamente utilizzate, ed se è si è assuefatto per curiosità, egli può non sperimentare sintomi residui di psicopatologia una volta che la pressione dell’eroinismo sia stata rimossa. Un soggetto simile ha una buona probabilità di tornare ad essere un membro produttivo della sua comunità se potrà passare attraverso vari stadi e fasi di riabilitazione durante il primo anno di trattamento e protetto dal blocco metadonico. Questa non è solo l’espressione di una pura speranza. L’aspettativa è fondata sull’esperienza del Methadone Maintenance Research Project in un periodo di dei anni e mezzo e che ha coinvolto, secondo i dati attuali, 124 pazienti altrimenti intrattabili con un passato di tossicodipendenza di strada . Nessuno di loro si è riassuefatto all’eroina mentre era in blocco metadonico e ben due terzi di questi pazienti in trattamento per tre mesi e più sono stabilmente impiegati o vanno a scuola. Consideriamo la sequenza degli eventi in un processo di riabilitazione senza complicazioni (se mai la TD possa essere definita senza complicazioni), e poi i problemi aggiuntivi causati da un sottostante stato psicopatologico indipendente dalla TD che resta anche dopo che l’uso di eroina viene interrotto. (es.: personalità psicopatica, nevrosi ansiosa, schizofrenia). Nel trattamento con metadone di una TD primaria, senza complicanze possiamo distinguere 4 fasi, ognuna caratterizzata da speciali problemi e peculiari risposte terapeutiche. La prima fase, che nei precedenti rapporti abbiamo definito “fase1” (4,5), è un periodo di induzione e di incertezza. Il TD arriva al trattamento con un mix di sentimenti e con molti dubbi. Egli può essere aiutato sostanzialmente attraverso i messaggi rassicuranti dei pazienti più anziani che hanno già provato ansie simili al loro ingresso nel programma e che hanno avuto successo nell’iniziare una nuova vita.
Uno dei primi segni favorevoli di risposta nel paziente nuovo è costituito dalla rinnovata attenzione per l’igiene personale.
I suoi abiti tornano ad essere lavati e stirati. Si rade ogni mattina e tende ad aiutare gli operatori.
Può darsi però che non disponga di abiti decenti e di soldi. Per un pazienti del genere l’acquisto di indumenti non cari ma dignitosi e di un impermeabile può rappresentare un passo importante nel processo di riabilitazione, dal momento che egli ci tiene a presentare un’immagine appropriata durante i colloqui con gli operatori ed anche per rispetto di sé stesso. A volte, durante la seconda o terza settimana, se il metadone è somministrato in dosi adeguate (sufficienti a prevenire i sintomi di astinenza, ma non tanto da provocare effetti narcotici), il paziente riferisce circa l’assenza di appetizione per la droga e comincia a parlare con gli altri di argomenti di interesse corrente, non correlati al mondo della droga. Durante la “fase 1” il paziente è estremamente ricettivo e disponibile a diversi approcci di tipo rieducazionale. I gruppi si riuniscono intorno ai conselors o vanno tutti a visitare musei o a seguire eventi sportivi. Leggono una sorprendente varietà di libri, partecipano e discutono di attualità. Alcuni vanno alle scuole serali o fanno corsi di formazione professionale. Però, ancora sono insicuri. Hanno bisogno di contatti frequenti con gli operatori per essere incoraggiati, rassicurati. La strada e solo pochi giorni dietro di loro. Dopo sei settimane di frequenza nell’ambulatorio (periodo stabilito empiricamente nello studio pilota), il paziente è farmacoligicamente stabilizzato, si hanno a disposizione gli esami iniziali e i test psicologici, ed egli è pronto ad essere dimesso per continuare su base ambulatoriale. Subentra così la “fase 2”. Il problema più urgente in questo momento di dimissione è quello della casa, dal momento che molti TD di strada non ce l’hanno o l’hanno perduta. Per questi soggetti è necessario un periodo di sostegno da parte del servizio sociale pubblico. Il paziente deve essere messo in grado di affittarsi una stanza per ricominciare una nuova vita. Alcuni pazienti, i più giovani che non hanno completato i corsi scolastici o altri con particolare vocazione al lavoro, possono tornare a scuola. Borse di studio o contributi per corsi professionali possono ottenersi da varie organizzazioni per chi si qualifica come studente o apprendista. Altri pazienti vengono incoraggiati a cercarsi un lavoro, e dal momento che probabilmente sono ansiosi per il ricordo dei precedenti fallimenti, sarebbe bene che un membro dello staff li accompagnasse durante la loro prima visita all’ufficio che offre l’impiego. Si tratta di un sostegno che alcuni ritengono superfluo, e a volte forse lo è, ma i pazienti più anziani e i membri dello staff non la pensano così. E’ compito essenziale del medico quello di rassicurare pazienti e operatori in prospettiva, descrivendo il programma ed offrendo garanzie di massimo impegno per il controllo medico dello stesso. La “fase 2a”, quella dopo la dimissione dall’ospedale può durare da sei settimane a sei mesi.
E’ seguita dalla “fase 2b” durante la quale il paziente ha stabilito un’accettabile routine di vita e può avere un lavoro stabile. Gli episodi di sperimentazione con la droga, caratteristici delle fasi precedenti, sono terminati o diradati. I principali problemi dei pazienti in fase 2b sono relativi alla difficoltà di trovare lavoro, tornare a scuola, ed in generale al disagio dovuto all’assunzione di queste nuove responsabilità. Per alcuni pazienti senza famiglia né amici, c’è la solitudine. I counselors, non necessariamente esperti nel lavoro sociale, ma con una buona capacità di ascolto, sono insostituibili. E’ importante valutare che alcuni pazienti, spinti da sensi di colpa e da desiderio di compiacere gli operatori, tendono a strafare. Ne abbiamo visti assumere vari lavori ed impegnarsi fino all’esaurimento per ricomprare i mobili e vestiario per la famiglia. Altri hanno associato, il lavoro con ambiziosi programmi scolastici. In questa voglia di fare tutto e subito il paziente deve essere aiutato a darsi ragionevolmente pace, dal momento che i deficit di anni non possono essere rimediati in un momento. Come molti di noi, anche loro abbisognano di aiuto per trovare un equilibrio fra lavoro, riposo e ricreazione. La “fase 3” può anche non raggiungersi mai, ma se lo è, il paziente avrà instaurato una routine di vita accettabile, produttiva e adatta alle sue capacità. Avrà sviluppato e terrà presenti delle prospettive per il futuro. Avrà forse un conto in banca e degli amici. A questo punto non ha più bisogno del sostegno dei pazienti più anziani e del counselor. Considera il medico come consulente e non più come controllore. Il pericolo maggiore in questa fase è l’aderenza al programma, dal momento che un paziente trattato con successo non si considera più un tossicodipendente. E probabilmente sente dentro di sé che continuare a prendere il farmaco forse è un inutile sconveniente incombenza. Bisogna ammettere che la questione se egli debba o no continuare, in questa fase e per un tempo indefinito, ad assumere dosi bloccanti di farmaco, è ancora senza risposta. E’ chiaro, comunque, che la decisione dovrebbe essere presa dal medico e non dal paziente che avverte la sconvenienza di dover continuare il blocco metadonico. I pazienti problematici, quelli con disturbi psicopatologici indipendenti dalla TD, rispondono meno bene. Questi soggetti possono anche non essere individuati con le interviste iniziali o durante la fase 1, dato che la TD determina ansie, pressioni e deviazioni nelle attitudini spesso indistinguibili dalle maggiori problematiche psichiatriche. nel corso del trattamento, però, si sono pazienti che non fanno progressi secondo le aspettative. Gli individui psicopatici causano problemi già nelle corsie e nell’ambulatorio e, a volte, danno luogo ad episodi violenti. Gli schizoidi spesso restano isolati ed hanno difficoltà a mantenersi un lavoro. Gli ansiosi possono sentirsi in un ambiente non sufficientemente protetto. Se hanno sintomi di astinenza possono sospettare che il farmaco sia stato ridotto anche quando la dose è rimasta costante e i sintomi ricorrenti sono di natura emotiva. Altri pazienti possono continuare a bere in eccesso o ad usare barbiturici, tranquillanti o amfetaminici. Fortunatamente i pazienti problematici sono solo una minoranza nel gruppo che abbiamo trattato. Questa bassa incidenza può essere il risultato di una favorevole selezione iniziale. I nostri pazienti furono scelti principalmente nei gruppi più emarginati come i portoricani e neri provenienti dagli slums. Per molti di questi individui la TD era qualcosa di più che un semplice problema di esposizione alla droga durante l’adolescenza o di una psicopatologia. Probabilmente un altro gruppo di soggetti tratti dalla classe media e per i quali la TD rappresenta una deviazione estrema, avrebbe mostrato una percentuale maggiore di individui disturbati. Consideriamo ora le domande che ci dobbiamo porre, quale che sia il programma per i TD di strada. Che ci si aspetta dal trattamento? Quali sono i parametri di successo che consentono di indirizzare i pazienti all’uno o all’altro trattamento? Molti di noi saranno d’accordo sul fatto che il successo è acquisito allorquando un soggetto diventa un membro produttivo della sua comunità. Per alcuni pazienti, quelli con psicopatologie disabilitanti, questo risultato può essere impossibile. Per loro ci vorrà un ambiente protetto, da sostituire all’esistenza antisociale dei Td di strada. Ma è anche vero che per la maggior parte degli individui sembra sufficiente un breve periodo di induzione in ospedale per iniziare un percorso riabilitativo. Diciamo breve, perché lunghi periodi di istituzionalizzazione appaiono non necessari, e anzi, potrebbero differire l’inizio della riabilitazione.
Conclusioni.
Molti TD di strada possono essere riabilitati attraverso l’interruzione dell’assunzione di eroina ottenuta con il blocco metadonico ed offrendo loro un ragionevole sostegno. Questo approccio, comunque, non è buono per tutti. Un gruppo indefinito di individui con psicopatologie addizionali, ha bisogno di setting più specialistici.
Questo studio è stato finanziato con una borsa del Health Research Council, Department of Ho-spitals and Community Mental Health Board, New York
Nome commerciale generico del farmaco metadone: Dolophine
Bibliografia:
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- Dole, V.P.; Kim, W.K. ; and Eglitis, I. : A Simple Method for Detection of Narcotic Drugs, Tranquilizers, Amphetamines and Barbiturates in Urine, JAMA 198 :349-352, :1966.
- Dole, V.P., and Nyswander, M.E.: A medical Treatment for Diacetyl-Morphine (Heroin) Addic-tion, JAMA 193 :646, 1965.
- Dole, V.P., and Nyswander, M.E.: Rehabilitation of Heroin Addicts After Blockade With Met-hadone, New York J Med 55: 2011-2017, 1966.
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